Ai vecchi tempi – in realtà non così tanto tempo fa – il mondo dello yoga era diviso in base all’insegnante e al metodo. I praticanti di
Iyengar disapprovavano il metodo “saltellante” praticato dagli Ashtangi. I praticanti di
Ashtanga disapprovavano (solo 20 anni fa) la nuova invenzione del Vinyasa Flow. I seguaci di
TKV Desikachar disapprovavano sia l’Ashtanga che l’Iyengar, metodi a loro parere troppo rigidi, e naturalmente anche la mentalità troppo liberale del Vinyasa. E così via: sia in modo aggressivo che gentile, gli studenti più seri erano fermamente convinti che il loro metodo fosse “il migliore”. Tuttavia, pur con forti disaccordi sui diversi metodi, i praticanti delle diverse scuole condividevano una cornice generale relativa al significato della pratica. Lo Yoga trattava di trasformazione – forse addirittura di illuminazione. Il suo status di pratica in grado di connettere corpo, mente e anima era considerato con la massima serietà. Era importante praticare sotto la guida di un maestro – o, se questo non era possibile, almeno essere seguiti da uno dei suoi studenti più eminenti. L’idea di diventare un’insegnante di yoga senza avere almeno un bel decennio di pratica costante sembrava un concetto strano, quando non addirittura sacrilego. Oggi, queste idee un tempo largamente condivise sono completamente svanite. L’anno scorso, durante un incontro sullo stato dello Yoga contemporaneo presso un importante centro di Chicago, solo uno studente su tre conosceva il significato della parola “discendenza”. Tutti, però, conoscevano molto bene il marchio Lululemon.
La rottura del Paradigma
Con questo non voglio asserire che il “veccchio” sistema basato sui “maestri” fosse perfetto. Come ben sa chi ha seguito i recenti sviluppi nel mondo dello Yoga, questo “vecchio paradigma” si è indebolito non solo a causa della sconfinata commercializzazione di questa disciplina, ma anche da problemi endogeni come la scioccante e diffusa incidenza dei cosiddetti “scandali dei guru”, con le poco ortodosse pratiche manipolative messe in atto da questi individui, fisicamente e psicologicamente, sui loro studenti. Senza alcun dubbio, molti seri praticanti di Yoga della “vecchia scuola” sono ancora alle prese con un senso di confusione, di perdita e di disillusione. .
Nel 2014, descrissi questi cambiamenti come causali all’interno di uno spostamento del paradigma della cultura yogica. Oggi, direi che siamo entrati in pieno nella successiva fase del
ciclo di Kuhn, ovvero nella “rottura” del paradigma.
La cultura dello Yoga si è frammentata significativamente. Non mi sto riferendo solo alle divergenze relative ai metodi di insegnamento. Piuttosto, esistono ormai tali e tante scuole con concetti radicalmente diversi su cosa sia lo Yoga, che trovare punti in comune diventa un’impresa a dir poco ardua. Non esiste più un’idea comune su cosa sia lo yoga, o perché valga la pena praticarlo. In molti casi, questo si manifesta come semplice ignoranza: la folla dello yoga di massa non ha idea di cosa stiano facendo, ad esempio, gli Ashtangi. In alcuni casi, tuttavia, questo può portare a conflitti di varia natura.
L’appropriazione culturale e lo “Yoga Body”
In Nord America, gli attivisti Sud Asiatici e i loro alleati hanno portato alla luce il dibattito un tempo nascosto sull’appropriazione culturale. Nel frattempo, in India, il governo di Modi ha lanciato una campagna senza precedenti e per alcuni controversa, per rendere lo yoga una parte centrale del proprio profilo politico e dell’identità nazionale Indiana. Sebbene questi movimenti possano apparire coerenti, queste iniziative all’interno della politica culturale dello yoga si trasformano in proverbiali “strane coppie”; basti pensare che in Nord America, questo movimento si identifica politicamente con la sinistra, mentre in India lo troviamo saldamente ancorato alla politica di destra del nazionalismo Hindu.
Nel frattempo, cosa impensabile solo qualche anno fa, sono giunte all’attenzione dei media le campagne contro il cosiddetto “yoga body”, portate avanti da chi è impegnato ad eliminare i disturbi legati all’immagine del corpo. Improvvisamente, è possibile essere sovrappeso, addirittura autodefinirsi “grassi” e diventare una yoga celebrity. Secondo un ciclo molto familiare, i comunicatori sono subito saltati sull’opportunità di marketing offerta dagli insegnanti di yoga che inizialmente si erano esposti nel desiderio di condividere la loro pratica – e non solo ciò che indossavano. Dove porterà tutto questo, è da vedere.
Instagram ha giocato un ruolo fondamentale e molto interessante in entrambi i movimenti: quello contro lo stereotipo dello “yoga body”, e quello della sua intensificazione. Recentemente, una ragazza che frequenta le mie lezioni e che rientra perfettamente nello stereotipo del “bel corpo da yoga” (giovane, magra, flessibile, carina e bianca), mi ha confidato di essersi ripetutamente dislocata una spalla nel tentativo di scattarsi una foto perfetta in Urdhva Dhanurasana. A vent’anni, ha già così tante lesioni che a breve potrà solo praticare la posizione del bambino, e la sua mobilità sarà inferiore a quella dei miei studenti più anziani.
Starbucks Yoga
Contemporaneamente, uno dei trend maggiormente in crescita sembra essere quello delle catene dello yoga, modello Starbucks. Nella sola Chicago, la mia città, abbiamo almeno 30 centri CorePower Yoga. Non troppo tempo fa, c’era un solo centro non indipendente in tutta la città. Come risultato, i nostri centri Yoga più antichi e conosciuti sono diventati delle boutique di nicchia per quelli che cercano un’esperienza yogica più “tradizionale”.
Ho incontrato molti insegnanti di yoga che hanno inziato il loro percorso nei centri CorePower, e che lì hanno frequentato i loro corsi per insegnanti. Tutti hanno definito positiva, e lo dico con un velo di tristezza, la loro esperienza. I loro corsi hanno creato insegnanti che avevano alle spalle solo pochi mesi di pratica, prima di essere autorizzati a condurre lezioni. Sono insegnanti e studenti che non hanno idea né hanno sperimentato la cultura tradizionale, basata sulla trasmissione maestro-studente, che davamo per scontata negli anni ’90.
Trova la tua nicchia
Potrei andare avanti a lungo con molti esempi della grande frammentazione della cultura Yoga dei nostri giorni. Ma a che scopo? Sono tali e tante e così diverse tra loro che ne risulterebbe solo una lunga, noiosa lista. Il punto nodale è che ciò che divide i praticanti di yoga non è più il metodo o il guru. Piuttosto, è il loro impegno – conscio o inconscio – ad un determinato progetto culturale, che varia dall’apparire su instagram al promuovere l’accettazione di sé, dal promuovere il corporate yoga al combattere l’appropriazione culturale. In molti casi, questi progetti divergono così tanto tra loro, che non ha più senso assumere che esista una comprensione condivisa di cosa sia lo yoga. Poiché non esiste più un paradigma che sottenda una cultura yogica pur lassamente condivisa, è più importante che mai riflettere su cosa ciascuno di noi ricerchi nella propria pratica, e se la nicchia culturale in cui ci troviamo sia realmente quella più adatta alle nostre necessità, ai nostri desideri e alle nostre visioni. Personalmente ho perso interesse nel cercare di tenere le fila dello scenario yogico, progetto che un tempo trovavo affascinante. Piuttosto, mi sono impegnata nel lavorare con lo Yoga Service Council, nel raffinare la mia pratica personale e nell’insegnare metodi che integrino Forrest Yoga, uno yoga che sappia prevenire o curare i traumi, e il Vinyasa Flow, insieme a diverse tecniche di Pranayama, mindfulness e meditazione. Sono sempre più coinvolta nell’esplorazione delle connessioni tra yoga e attivismo politco. Come tutti coloro che seguono l’informazione, siamo in una fase di forte impegno politico, conflitto culturale e fermento sociale. Mi chiedo quindi: in che modo la mia pratica può aiutarmi ad interagire con questo momento storico in modo produttivo?
Le vere domande
Perché pratichiamo? Quale impatto hanno le asana su cuore e testa? Abbiamo il supporto necessario – insegnanti, comunità, training, conoscenza – per sfruttare questa sinergia tra corpo e mente a beneficio della nostra crescita personale? In che modo lo yoga ci connette ai vari aspetti della nostra esistenza, alla nostra famiglia, comunità, società – al mondo? Stiamo sfruttando al meglio il tempo che ci è dato passare su questa terra? In che modo la nostra pratica può aiutarci a rispondere a queste domande in modo onesto e profittevole?
Considerando i territori culturali, molteplici e spesso conflittuali, in cui si muove oggi lo yoga, è più che mai importante rivolgersi queste domande con regolarità. Chiedersi come, dove, perché, e su chi la nostra pratica yoga provoca un impatto profondo è più importante di quanto è bello il nostro Trikonasana. Perché la nostra pratica determina se stiamo vivendo bene le nostre esistenze. ~

*
Carol Horton, Ph.D., è autrice di “Yoga Ph.D.: Integrating the Life of the Mind and the Wisdom of the Body”, e co-editor di “21st Century Yoga: Culture, Politics, and Practice”. Attualmente è al lavoro sul suo nuovo libro, C”Best Practices for Yoga for Veterans”. Carol fa parte del Consiglio di Amministrazione del Yoga Service Council, e insegna a Chicago. Precedentemente era professoressa di Scienze Politiche, e detiene un dottorato presso la University of Chicago, ha scritto “Race and the Making of American Liberalism”, e numerose ricerche per fondazioni benefiche e istituzioni pubbliche sugli effetti sociali della povertà.
Per maggiori informazioni, visitate il suo sito: