Tradizione contro innovazione, o tradizione innovativa?

Andrew Eppler e Sri K. Pattabhi Jois. Tradizione e innovazione. Sono due concetti che si elidono a vicenda, e che produrranno sempre conflitti e dibattiti? O possono coesistere pacificamente? In questo post Andrew Eppler spiega come e perché questi due concetti possono collaborare in modo produttivo.

Tradizione e innovazione: due concetti in lotta, o una possibile armonia? Traduco oggi il post pubblicato da Andrew Eppler e Sabine Nunius di Ashtangayogainfo, non solo insegnanti di Yoga ma anime del progetto documentaristico Mysore Yoga Traditions, che si prefigge di fare luce sulla lunga tradizione yogica di Mysore, al di là della sola pratica fisica. Il loro articolo mi sembra di grande interesse proprio in un momento storico in cui molti praticanti si sentono confusi davanti alla pratica “tradizionale”. A volte sentiamo il bisogno di “rompere le righe”, ma abbiamo paura di sbagliare. Quando il cambiamento può essere positivo, e soprattutto, è giusto “innovare” la tradizione? Ancora una volta grazie ad Anthony Grim Hall per aver portato questo post alla mia (e vostra) attenzione.

Tradizione – la base della nostra pratica

Se affrontiamo la questione “tradizione vs innovazione” – o piuttosto, tradizione “e” innovazione – dobbiamo innanzi tutto parlare di tradizione. E questo ci porta, per quanto possa sembrare banale, alla domanda: “Cosa intendiamo per tradizione? E qual è la definizione di una ‘tradizione yogica’? Per tradizione, intendiamo solo una sequenza di posizioni, possibilmente databile nella notte dei tempi? E dobbiamo giudicare la validità di una tradizione semplicemente basandoci sull’età di questa particolare sequenza?

Personalmente ritengo che una tradizione yogica non si componga solo di posizioni. Molti di noi hanno iniziato a praticare grazie agli asana, quindi è normale che questo sia l’argomento che per primo cattura la nostra attenzione. Tutti noi tendiamo a interessarci alle cose che catturano la nostra attenzione, e che confermano ciò che già conosciamo. Ai miei occhi, questo è anche un fenomeno caratteristico delle culture occidentali: l’idea occidentale dello yoga tende a focalizzarsi sulle sequenze di posizioni e sulla loro origine temporale. Cerchiamo di stabilire cosa sia più autentico, determinandone l’età.

Per contro, c’è una tradizione yogica molto forte a Mysore e in molte altre parti dell’India, che differisce notevolmente dall’approccio occidentale. Questa tradizione non si concentra sulla pratica delle posizioni, come potremmo essere portati a credere. Tuttavia, è una tradizione bellissima e vivace.

Mi concentrerò sullo yoga che è arrivato a noi da Mysore. Le statistiche ci rivelano che la metà di tutti gli stili praticati oggi nel mondo sono stati influenzati direttamente da Sri Tirumalai Krishnamacharya e dai suoi discepoli. Gli anni più importanti per Sri Krishnamacharya furono i 25 anni che trascorse insegnando a Mysore, a cavallo tra gli anni ’30 e ’50. Quindi quale tradizione yogica appartiene a Mysore? Se guardiamo oltre gli asana, e entriamo in una gamma più vasta di pratiche e filosofie nella comunità di Mysore, notiamo che questa città vanta una tradizione yogica molto antica.

La tradizione di Mysore: oltre gli asana

Il Maharaja di Mysore, dal 1894 fino al 1940: Krishnaraja Wadiyar IV

Le tradizioni yogiche indiane non sono mai state legate solo agli asana. A Mysore possiamo trovare una cultura spirituale che copre esercizi respiratori, concentrazione, meditazione, canti, devozione: ed è una cultura almeno millenaria, tracciabile fino al tempo di Ramanuja. Quando il Re di Mysore convinse Krishnamacharya ad insegnare proprio nella sua città, il Sanskrit College era una realtà già molto conosciuta, con una biblioteca immensa dedicata alla filosofia indiana. Lo Yoga è una delle sei principali filosofie indiane, ed è sempre stata presente a Mysore.

Krishnamacharya apprese l’Ashtanga Vinyasa Yoga in Nepal, o come dicono alcuni in Tibet, e mise una forte enfasi sugli asana e sull’hatha yoga. Era un grande studioso, e le sue argomentazioni a favore della pratica degli asana convinsero la comunità intellettuale di Mysore. Sappiamo che Krishnamacharya portò con sé nuove tecniche e nuove idee, ma sappiamo anche che a Mysore lo yoga era già praticato, in senso più vasto, come filosofia.

Tutte le pratiche posturali dello yoga, prima di Krishnamacharya, erano solitamente un fatto molto privato, quasi segreto. Alcuni dei più anziani eruditi di Mysore affermano di avere appreso gli asana con il conteggio dei respiri, e i Saluti al Sole dalle loro famiglie, che praticavano yoga da generazioni, ben prima che si fossero mai sentiti i nomi di Krishnamacharya e del Vinyasa. Lo Yoga è una forma d’arte molto integrata e non è veramente possibile affermare quanto sia antica, o da dove provenga. Per come la vedo io, l’Ashtanga Vinyasa Yoga è un sistema coerente, ben costruito, che deriva da una tradizione culturale molto innovativa. L’innovazione fa parte della tradizione! E questo Yoga “Mysoriano” è fortemente radicato nella cultura e nella filosofia indiane. I nomi degli asana parlano di saggi, divinità, animali e icone culturali che fanno parte della filosofia della comunità di Mysore. Tutto questo sembra evidenziare l’esistenza di una cultura ricca, bella e antica.

Le radici dello Yoga – oltre 5000 anni fa

E’ vero che lo Yoga è stato “inventato” più di 5000 anni fa? Personalmente, penso che questa affermazione sia più o meno autentica. Dipende da cosa intendiamo per Yoga. Danny Paradise dice per esempio che lo yoga è connesso a tutte le tradizioni shamaniche e indigene, e che è nato insieme all’umanità stessa. Io sono d’accordo. Probabilmente, ogni civiltà che è andata oltre lo stadio primitivo può vantare pratiche fisiche e psichiche affini allo yoga. Se parliamo di Yoga indiano, possiamo dire datare la sua origine a 5000 anni fa, o 4500 anni fa se vogliamo esprimere una stima più conservativa. Quando parliamo invece degli asana che pratichiamo ancora oggi, i primi riferimenti testuali sono nelle Upanishad minori e nei testi del Tantra. L’Hatha Yoga Pradipika (databile al 1500 AD) entra in maggiori dettagli. Ma se vogliamo discutere le esatte sequenze Ashtanga Vinyasa Yoga, possiamo affermare che furono sviluppate da by Sri Krishnamacharya e Sri K. Pattabhi Jois. Parliamo quindi di un centinaio di anni, forse meno.

Sri K. Pattabhi Jois: l’Asthanga arriva in Occidente

Sri K. Pattabhi Jois fu certamente il maestro che trasmise l’Ashtanga Vinyasa Yoga all’Occidente. Con il suo inglese incerto, riuscì a creare enorme entusiasmo e devozione nei suoi discepoli. Lo ritengo un autentico genio creativo. Sistematizzò gli asana in modo da dar loro un senso, rendendoli memorizzabili e praticabili. Ad oggi, il suo modo di creare sequenze e il suo approccio hanno un’immensa influenza sulle forme di yoga praticate nel mondo. Il suo modo di insegnare ha fatto di alcuni praticanti delle autentiche icone, e ha realmente infuocato gli animi di intere folle. E con grande coerenza verso la sua cultura, come tutti i veri maestri indiani fanno Sri K. Pattabhi Jois ha dato il credito di tutti i suoi successi al suo insegnante e alla tradizione da cui derivava. Non ha mai fatto parola del suo personale contributo.

Ed è a questo punto che comincia la confusione. Pattabhi Jois insisteva nel dire che lo yoga è antico, che lui insegnava un buon metodo, e che i suoi studenti dovevano dedicarsi a quel metodo. Che c’è di male? Queste affermazioni esprimono umiltà e devozione, sono adorabili. Soprattutto sulla scena attuale dello yoga, dove tutti sembrano cercare in ogni modo di dare un tocco di novità. Appena qualcuno pensa di aver avuto una buona idea, immediatamente cerca il modo di brandizzarla, metterci il copyright e monetizzarla. Oggi abbiamo tutti i tipi di yoga possibili. Siamo così condizionati dall’aspetto materiale della pratica, che ci sta sfuggendo di vista il suo vero significato. Litighiamo sulle sequenze, che sono un aspetto molto moderno alla luce della storia dello yoga, e dimentichiamo di vedere la civiltà e la cultura che ce lo hanno consegnato.

Mai cambiato una virgola: perché gli insegnanti insistono così tanto sull’aver ricevuto una sequenza precisa dal loro maestro (e il loro maestro dal maestro precedente, e così via)?

Non lo fanno tutti gli insegnanti. Il mio maestro, Sri BNS Iyengar, che ha appena compiuto 90 anni, insegna una sequenza leggermente diversa dell’Ashtanga Vinyasa Yoga. Sa essere molto innovativo quando lavora con praticanti avanzati. Infatti, non esistono al mondo due insegnanti che trasmettano esattamente lo stesso metodo. Non importa quanto ci proviamo, è semplicemente impossibile. Penso che le sequenze fisse abbiano una buona ragione per esistere. Avere una struttura di base in comune è un’idea brillante, ed ha un impatto molto positivo sullo yoga, secondo me. Le sequenze fisse sono come le scale per un musicista. Chiunque abbia studiato le sequenze dell’Ashtanga con Sri K. Pattabhi Jois o Sri BNS Iyengar ha una grazia e una competenza che derivano dalla ripetizione dei movimenti. Penso che Sri K. Pattabhi Jois in questo abbia dato un contributo superiore a quello di qualunque altro maestro. Quando le sequenze sono fisse, la pratica diventa molto più concentrata, elevando esponenzialmente gli standard. Quindi secondo me, gli asana che pratichiamo derivano effettivamente da una lunga tradizione. E la comunità in cui sono nati è davvero molto antica. La loro “formattazione”, però, è un po’ più recente di quello che ci piacerebbe pensare. Lo Yoga esiste da sempre, e ha assunto nel tempo diverse forme.

L’approccio Indiano vs l’approccio Occidentale: amore per la tradizione vs opposizione alla vecchia scuola?

La mia opinione è che tra i due approcci esistano enormi differenze. Noi occidentali ci annoiamo in fretta. Ogni insegnante ha lo stesso problema. Come fare per mantenere vivo l’interesse dei nostri studenti, motivandoli a studiare Yoga in modo sincero? Non esistono metodi giusti o sbagliati. Tutti noi osserviamo le cose attraverso le lenti della nostra mente, e spesso trasferiamo le nostre idee nello yoga, come facciamo con qualsiasi altra cosa. Ecco qual è la differenza principale: un approccio più tradizionale presuppone il rinunciare ai nostri “perché?”, e limitarsi a praticare. Quando la mente si calma, riusciamo a vedere il significato profondo oltre la pratica. Come dice David Williams, “prima della pratica la teoria è inutile, dopo la pratica, la teoria è ovvia”.

“O mio Dio – la mia pratica non è così antica come credevo. E ora che faccio?”

Fate un bel respiro, e superate questo trauma! Noi insegnanti occidentali abbiamo la tendenza a dare valore alle cose in base alla loro antichità. Ci piace sentirci legati a tradizioni e lignaggi d’altri tempi. Storicamente, il Guru Parampara non si è mai basato semplicemente solo sul seguire una particolare sequenza di posizioni. Il contesto e la pratica degli asana sono relativamente moderni, ma la filosofia da cui sono scaturiti è molto antica. Dobbiamo solo identificare quali parti dello yoga siano realmente antiche. L’idea di poter ricavare stabilità emotiva e mentale attraverso la meditazione è molto antica. Gli asana sono un passo necessario alla preparazione della meditazione. L’idea di salutare la divinità del sole attraverso il movimento deriva dai Veda. Siamo in errore solo quando cerchiamo di dire che una particolare sequenza di asana sia antica. Non mi sembra che ci sia poi un grande problema!

Lo Yoga si è evoluto per migliaia di anni e continuerà ad evolversi. Ciò che è immutato nei tempi è il grande esperimento che lo Yoga compie sulla coscienza e sulla libertà dell’uomo. Lo Yoga è una scienza che ha come scopo il raggiungimento del più alto potenziale individuale. I metodi sono mutati molte volte nella storia, a seconda delle circostanze, ma le idee fondamentali sono sempre state coerenti. Gli esercizi fisici sono moderni, ma lo yoga è antico. Anche se lo yoga è diventato esercizio fisico, ancora mantiene parte delle sue antiche radici ed è in grado di creare uno stato mentale di calma e chiarezza, che porta alla meditazione e agli aspetti più interiori dello yoga, per chi decide di esplorarli.

Gli approcci alla tradizione nella comunità Ashtanga

C’è una differenza nell’approccio ai fatti descritti da parte delle scuole di Ashtanga che si sono sviluppate nel tempo, solitamente in relazione a uno specifico insegnante? Io non vedo grandi differenze. Possiamo attaccarci alle fantasie se ci fa piacere, ma i fatti relativi alle sequenze sono abbastanza chiari a questo punto.

Andrew Eppler

Penso sia interessante osservare il background filosofico e l’eredità di Sri  Krishnamacharya in merito agli asana. Per quanto riguarda la parte filosofica, Sri Krishnamacharya era un Iyengar. Apparteneva ai Vaishnavas e praticavano il Bhakti. Seguivano gli insegnamenti di Ramauja e Vishishta Advaita. In quella tradizione, lo Yoga era sempre stato una parte importante. Nell’era attuale, la questione è se un insegnante vuole concentrarsi principalmente sull’insegnamento dei soli asana, o se vuole insegnare filosofia yoga insieme agli asana.

Tutti i filosofi di Mysore si riferiscono ai Bhagavad Gita e agli Yoga Sutra di Patanjali, oltre ad altri testi. Sono testi che appartengono alla tradizione in tutta l’India. E’ importante comprendere che il dibattito filosofico fa parte della tradizione indiana, e che le discussioni filosofiche durano da migliaia di anni. Ma i principali testi a cui si riferiscono e i concetti di base sono gli stessi un po’ ovunque sul territorio.

Quanta innovazione è lecita, e chi decide quando un cambiamento è “buono” o “cattivo”?

I metodi classici e testati nel tempo sono sicuri ed efficaci se insegnati correttamente. Non tutte le nuove, folli e divertenti idee si rivelano utili. Penso che lo yoga si stia evolvendo in modo rapido a livello fisico in occidente, e che gli standard si stiano elevando progressivamente da questo punto di vista. Lo yoga fisico è persino diventato una scienza, sia in India che in Occidente, ed effettivamente può curare una serie di disturbi fisici. E’ diventato più facile da approcciare, e più facile da trovare. E questa è una cosa bellissima. Per costruire una pratica intensa, sostenuta, stabile nel tempo, continuo a pensare che l’Ashtanga Vinyasa sia un metodo imbattibile.

Sabine Nunius

Quindi chi decide quando un cambiamento è “buono”? Semplice: voi. Tutti noi. Ma la noia non è una buona ragione per cambiare cose che sono state messe insieme con cura e attenzione. Dobbiamo diventare tutti autonomi nella nostra pratica. L’intenzione è tutto. Quando andiamo da un insegnante, siamo “obbligati” a seguire il suo insegnamento. Quando siamo soli, facciamo quello che ci pare. Il risultato racconta la storia delle nostre intenzioni e ci rivela se il nostro approccio è corretto. Personalmente ritengo che i praticanti più seri siano attratti dalle sequenze fisse, che li portano più facilmente ad uno stato meditativo. Lo Yoga diventa sacro e devozionale attraverso la ripetizione.

L’Ashtanga Vinyasa Yoga è una pratica molto precisa. Possiamo alterarla, ma ciò che conta sono le ragioni che ci spingono a farlo. Lo facciamo a causa dei nostri limiti fisici? O semplicemente per renderla più accessibile e per guarire parti del corpo che, diversamente, potremmo danneggiare? O lo facciamo per renderla graficamente più bella, per attirare gli sguardi di chi ci osserva? Sono le intenzioni a fare la differenza. Quando gli asana sono troppo difficili per noi, ci affidiamo alla nostra saggezza e alla tecnica del nostro insegnante per affrontare la problematica. Senza un interesse sincero, non esiste lo yoga, ma non dobbiamo dimenticare il buon senso! Se crediamo in un metodo al punto da praticarlo ogni giorno per anni, allora probabilmente quel metodo contiene qualcosa di valido. Ma se siamo ossessionati dalla nostra apparenza e dall’approvazione degli altri, stiamo facendo una digressione, ed esprimiamo vanità e instabilità.

Direi che il Vinyasa Flow è oggi la forma di yoga più popolare al mondo. E’ molto più difficile insegnare yoga senza una struttura da seguire. Nelle mani di un insegnante capace, con una profonda conoscenza fisiologica e l’esperienza necessaria a mettere insieme le cose in modo intelligente e accessibile, può essere una pratica assolutamente eccezionale. Quando osservo le persone che praticano in una shala, sono evidenti i praticanti che hanno raffinato la tecnica fino ad integrarla alla perfezione con il funzionamento del sistema nervoso. Questo è il tratto distintivo della tecnica dell’Ashtanga Vinyasa. Quel livello di perfezione non può essere raggiunto solo giocando con gli asana, per quanto si sia in possesso di doti atletiche.

Il cambiamento oltre la sequenza degli asana. Perché non praticare con la musica?

In questo ambito non c’è giusto o sbagliato. La musica ha una connessione antica con lo yoga. Krishnamacharya vantava un legame con Nathamuni, che era un Nada Yogi. Nada è lo yoga del suono. Ho sperimentato lezioni di yoga in cui la musica selezionata era in grado di condurre alla concentrazione, oltre che essere in perfetta sincronia con il flusso di asana. Personalmente, preferisco interludi di silenzio che rendono l’intervento della musica più potente. D’altro canto, trovo che la musica pop sia un elemento di distrazione. E’ un genere musicale che preferisco ascoltare in altri momenti. Mi piace il suono del mio respiro. Non penso ci sia nulla di sbagliato nel praticare con la musica, dipende come sempre dalle intenzioni. Quando sono solo, preferisco il silenzio. Detto questo, ascoltare della musica leggera può essere un modo per entrare in contatto più facilmente con le sensazioni che lo yoga può produrre nel nostro corpo. Se invece preferiamo acquietare le nostre menti e sintonizzarci sul respiro, è meglio usare una sequenza fissa. E al momento non ho trovato una struttura migliore dell’Ashtanga Vinyasa Yoga. Se ne avessi trovata una, avrei già iniziato a praticarla!

La mia pratica personale: un esperimento libero, o un’esperienza radicata nella tradizione?

Siamo noi a decidere quanta libertà esercitare nel nostro spazio. Direi che chiunque pratichi qualsiasi tipo di yoga, animato da motivazioni mentali e/o emotive o dal desiderio di aumentare la propria capacità di concentrazione, sta praticando in modo autentico. Questo include anche motivazioni di benessere e salute, ma se essere in forma è il nostro unico obiettivo, allora stiamo solo facendo esercizio fisico.

E’ giusto innovare? Tuti noi siamo costretti all’innovazione all’interno delle sequenze, semplicemente perché gli asana sono difficili e spesso non riusciamo ad eseguirli. Le innovazioni che funzionano per una persona possono non funzionare per qualcun altro. Ed è qui che entra in campo la capacità di insegnare. Vedo le sequenze fisse come qualcosa di positivo. Creano un terreno comune e una base su cui lavorare.

I problemi nascono solo quando diventiamo ossessivi e superstiziosi in merito a queste sequenze. Nella mia personale opinione, pensare che queste sequenze di asana siano un’antica via per l’illuminazione, e che cambiarle significhi mancare di rispetto a qualcuno, è un pensiero folle. Queste sequenze non sono più antiche di Sri K. Pattabhi Jois, per quanto la mia ricerca abbia avuto modo di verificare. A Mysore mi è stato detto che le quattro serie originali tramandate a Sri K. Pattabhi Jois derivavano dal sillabario del suo corso quadriennale di Yoga al Sanskrit College del Maharaja. Provenivano da una tradizione innovativa e da un corpo di pratiche di asana molto più vasto. Le sequenze evolutive di asana hanno il nome di Vinyasa Krama. Le serie dell’Ashtanga sono molto dinamiche, e racchiudono una intensa esplorazione della pratica degli asana. Ecco il motivo per cui Sri K. Pattabhi Jois chiamò la sua scuola Ashtanga Yoga RESEARCH Institute!

Creare una pratica individuale

Ognuno di noi può fare – e farà – ciò che meglio crede. Penso che il consiglio migliore sia semplicemente trovare un insegnante che ci piace e con cui siamo in sintonia. Dobbiamo ascoltare il nostro corpo ed evitare azioni che possano provocare dolore, indipendentemente da qualsiasi cosa ci dicano. Dobbiamo sperimentare, osservare cosa ci fa stare bene e ci porta buoni risultati. Dobbiamo fidarci della nostra saggezza interiore e sviluppare una pratica personale. Disciplina, devozione e una pratica personale sono i requisiti necessari per l’esplorazione dello Yoga. Possiamo girarci intorno per un po’, ma alla fine dobbiamo trovare stabilità in un metodo e praticare seriamente se vogliamo ottenere qualcosa di autentico.

Alla fine, possiamo abitare la tradizione e innovare al suo interno, come hanno sempre fatto tutti gli insegnanti di Yoga. Non andiamo in confusione e soprattutto non accusiamoci l’un altro per piccoli cambiamenti o differenze nell’esecuzione degli asana. Non dimentichiamo quella ramo dello Yoga che ci invita ad essere delle brave persone. Non importa quale approccio scegliamo, solo il tempo ci dirà se abbiamo avuto ragione. Abbiamo bisogno di lavorare sodo e intelligentemente per arrivare alla nostra mèta. Chi s’innamora dello Yoga solitamente gli resta fedele. Ma è anche difficile amare qualcosa se ci fa del male… l’innovazione è inevitabile.

backstage dal documentario “Mysore Yoga Traditions”

Molte delle opinioni espresse in questo post, soprattutto quelle relative alla tradizione Yoga di Mysore, derivano da conversazioni dirette con studiosi, anziani, yogi e leader spirituali di Mysore. “Mysore Yoga Traditions” diventerà un documentario dedicato alla comunità intellettuale di Mysore. Ci stiamo lavorando con la massima velocità e speriamo di potervelo consegnare entro la primavera del 2017. Continuate a seguirci!

Andrew Eppler e Sabine Nunius

Traduzione e commenti di Francesca d’Errico

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Un commento

  1. Grazie!!!

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