Lo Yoga: terapia contro la paura

Pensavo in questi giorni a quanti dei nostri comportamenti sono influenzati dalla paura. Al di là delle paure oggettive nei confronti di qualcosa, credo che la paura da cui tutte le altre nascono sia quella di mostrarci per ciò che realmente siamo, senza maschere, nella nostra vulnerabilità. Eppure solo quando siamo noi stessi, senza più strutture o personaggi da recitare, possiamo davvero amarci, ed essere profondamente amati. Alla ricerca di spunti di riflessione sull’argomento, come spesso mi accade, sono “inciampata” virtualmente in questo bellissimo post di David Garrigues, che traduco per voi.

“Quando inizio a guardarmi dentro, mi accorgo di essere semplicemente un gran groviglio di paure. Se mi metto ad analizzarle, mi accorgo che la maggior parte di queste paure sono auto-imposte. Sono io a chiamare fantasmi e mostri e sempre io a consentire loro di girarmi attorno, permettendogli di creare disagi al mio stato mentale. Ma una di queste paure ha un’origine più profonda. Non sono io a chiamare questa paura, essa semplicemente “E'”, come se avesse un suo corpo e una sua coscienza.

Non giudico la paura. Anzi le sono grato. Sono gli improvvisi choc dei suoi aculei a mantenermi vivo. La accetto come la guida che mi spinge verso l’ignoto. Cerco di vivere secondo il credo “vai verso ciò che temi”, perché paura e creatività spesso vanno a braccetto. Non possiamo trovare l’una senza l’altra. L’arte dello yoga consiste nel richiamare il coraggio, mettere in atto le proprie capacità, vivere liberamente al confine di ogni nuovo precipizio fisico, energetico e/o psichico. Dopo 30 anni sul tappetino, so che è la combinazione tra paura e creatività a consentirmi di forgiare un percorso originale e unico verso la conoscenza del Sé.

Ma sono pur sempre umano, e a volte non riesco ad abbracciare la mia paura. Anzi, perdo la pazienza nei confronti della sua natura accanita e ossessiva. Le mie capacità yogiche vanno a quel paese: vorrei alzarmi e gridare: “di cosa diavolo ho così tanta paura?”. Vorrei spaventarla, zittirla, spegnerla, ignorarla, deriderla, prenderla a calci o catapultarla nella stratosfera schiacciando un magico bottone. Ma ognuno di questi tentativi si rivela futile. Perché nonostante tutto, lei è con me, dovunque io vada, segue ogni mio passo, proprio come la mia ombra. Vorrei infilarmi a letto e nascondere la testa sotto le lenzuola. Ma improvvisamente mi ricordo che c’è qualcosa che può scuotere la mia paura… posso andare sul tappetino, praticare una posizione, e iniziare a respirare.

Uso il mio scheletro per disegnare un cerchio magico che definisce uno spazio interno, e uno spazio esterno. Dentro questo cerchio pratico Khecari Mudra; trasformo il mio palato in una caverna sacra e divento un Creatore dell’elemento Spazio. Quindi il mio corpo e la mia mente diventano un Sukhastan, un rifugio, un regno dove la paura non può entrare e dove la comunione sacra diventa possibile.

Il mio corpo in un asana diventa un’espressione di potenza, in cui assumo un atteggiamento di controllo rispetto alla paura. Può essere Utkatasana, un atteggiamento di ferocia. O Maha Mudra, un Sigillo Sacro di Forza Vitale. O Shavasana, che rappresenta l’indifferenza di un cadavere. In Sarvangasana, tutto il mio corpo mi sostiene. In Natarajasana, assumo le sembianze di un esperto danzatore che allontana la paura con i suoi aggraziati movimenti. In Vrkshasana, sono un Albero radicato al suolo, che si erge maestoso contro ogni tempesta. In Samasthiti, posso mantenere l’equilibro tra forze opposte. 

Creo uno sportello temporale, un intervallo di eternità. Sono completamente assorto. Posso respirare, muovermi, fermarmi, riflettere o creare, oppure semplicemente non fare nulla. E semplicemente, esistere. Dentro questo spazioso, vuoto e tranquillo stagno che è la mia mente, riesco ad osservare la verità profonda di questa nostra esistenza, che si dipana in un’unica, continua, eterna e sacra essenza”. (D. Garrigues)

Nello spazio eterno di un Asana, nel momento di completa concentrazione, la paura cessa di esistere.

Francesca d’Errico

David Garrigues

Ashtanga Yoga: una guida per imparare ad amare

l’Ashtanga Yoga può aiutarci ad imparare di nuovo ad amare? Leggevo in questi giorni un interessantissimo post sul sito Conscious Reminder, in cui l’autore affrontava una tematica scottante: l’incapacità di costruire relazioni umane solide e durature, caratteristica che accomuna ormai diverse generazioni. E’ un tema che già Bauman, nella sua descrizione della società liquida, aveva anticipato anni fa. Ne sintetizzo i contenuti:

“La nostra società è sempre più trascinata dal vortice della gratificazione instantanea, ben rappresentata dai “like” di Facebook e Instagram. Invece che stabilire connessioni profonde, in cui la nostra umanità può essere appagata pienamente, ci si accontenta di contatti sporadici ed effimeri, ci si trova rapidamente e altrettanto rapidamente ci si abbandona, alla ricerca di qualcosa di “meglio” o di “nuovo”. Perché non riusciamo più a stabilire relazioni durature? Perché ci infiammiamo così velocemente e di continuo, e non siamo più capaci di fare sacrifici, di andare incontro all’altro, di comprenderlo, di lavorare sulla relazione, sia essa amicale o sentimentale? Vogliamo che tutto sia facile e immediato, un ostacolo è tutto ciò che ci serve per mollare gli ormeggi e andare alla ricerca della prossima situazione. Non cerchiamo più affetto o amore ma eccitazione e brivido. Vogliamo tutto subito, dimenticando che per costruire emozioni profonde e autentica complicità è necessario tempo, impegno, concentrazione. Preferiamo passare un’ora a chattare con dieci persone diverse, che dedicare attenzione autentica ad una persona per volta, dandole l’opportunità di mostrarci chi è veramente. Siamo terrorizzati dall’idea della stabilità: professiamo il nostro desiderio di amare, eppure quando siamo vicini alla sua realizzazione, fuggiamo perché “non ce la facciamo”. Abbiamo paura di esporci per ciò che siamo realmente, di mostrare la nostra sensibilità, e preferiamo continuare a recitare il nostro personaggio “sociale” con attori continuamente diversi.”

Davanti a questo, l’Ashtanga Yoga può essere una pratica fisica che diventa metafora, una disciplina che ci insegna nuovamente ad amare. Quando scegliamo la pratica dell’Ashtanga Yoga, proprio come quando incontriamo qualcuno, ci è richiesto un atto di fiducia o di fede. Dobbiamo “credere” alla pratica esattamente come crediamo in una relazione. Attraverso la pratica quotidiana e costante di sequenze prestabilite, siamo costretti ad imparare la pazienza, l’impegno, la costanza. Ripetendo ogni giorno gli Asana e i Vinyasa della nostra pratica, torniamo a scoprire che è solo attraverso una relazione stabile che possiamo raggiungere risultati autentici, che possiamo splendere nella bellezza unica di essere noi stessi, e vedere l’altro nella sua bellezza, quali che siano i suoi e i nostri limiti. Solo provando, cadendo, rialzandoci e tornando a provare, ogni giorno sul tappetino rappresentiamo la vita. Non è una prova generale quella che stiamo facendo. Sono i giorni che il destino ci ha dato a disposizione e ognuno di essi è unico. Quando vinciamo la nostra paura di restare, la nostra paura di fidarci di noi stessi e di una relazione (inclusa quella con la pratica), proprio come una pianta possiamo fiorire. La pratica ci riporta verso l’autenticità del desiderio: ci fa riscoprire la differenza tra la gratificazione istantanea, e il raggiungimento di ciò che vogliamo davvero. Che poi altro non è che la differenza tra la quantità (quanti asana posso fare? Quante persone posso conquistare?) e la qualità (riesco ad eseguire correttamente “questo” asana? Riesco a capire ed amare davvero “questa” persona?).

Praticando Ashtanga Yoga in questo modo, gli Asana diventano simboli della nostra solidità spirituale. E una semplice sequenza di posture diventa una preghiera che coinvolge il nostro corpo e, soprattutto, il nostro cuore.

Photo by Marco Pantani