
Meditazione: la direzione giusta

Tra gli asana con i più immediati benefici psicofisici, le torsioni – i cosiddetti “twists” – sono un vero toccasana per tutti. A livello muscolo-scheletrico, se effettuate consapevolmente, con la corretta respirazione, e con l’attivazione della muscolatura addominale e dei bandha, sono uno dei metodi più efficaci per ovviare alla compressione dei dischi intervertebrali causata da ore di posture scorrette o di vita sedentaria.
Le torsioni vantano inoltre un forte potere detossinante: la compressione (molto limitata nel tempo!) degli organi interni contribuisce a irrorare di fluidi ossigenati l’apparato digerente e gli organi riproduttivi. Il risultato più immediato è un sensibile miglioramento dei disturbi legati a questa zona (stipsi, digestione difficile, etc.). Dal punto di vista psicologico, secondo gli insegnamenti del metodo Jivamukti, le torsioni ci portano a guardare dietro di noi, a riconsiderare situazioni passate e ad abbandonare il risentimento o la tristezza. A volte in modo quasi magico, quando ci arrendiamo alla posizione durante l’espirazione, ci accorgiamo di superare i nostri limiti fisici e psichici. Chi di voi ha iniziato una pratica individuale a casa, al termine dei saluti al sole può inserire una di queste posture così importanti.
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Marichyasana C: un twist semplice ed efficace |
Seduti a terra, con le gambe tese e attive davanti a voi, il piede sinistro flesso a martello, sollevate il ginocchio destro verso il petto, appoggiando il piede destro accanto al ginocchio sinistro. Abbiate cura di lasciare un po’ di spazio tra il piede e il ginocchio, per consentire al vostro corpo di muoversi agilmente. Portate la mano destra dietro di voi, appoggiando fermamente il palmo a terra e attivando anche le dita, che punteranno verso il muro alle vostre spalle. Sollevate inspirando il braccio sinistro, allungando la colonna vertebrale verso l’alto, ed espirando portate il gomito sinistro all’esterno del ginocchio destro. Il gomito è piegato a 90 gradi, il palmo della mano sinistra è rivolto verso la parete davanti a voi. Al termine della espirazione spingete l’ombelico contro la colonna vertebrale in modo da concentrare la respirazione nella cassa toracica. Inspirate e spingete gomito e ginocchio dolcemente l’uno contro l’altro, volgendo lo sguardo oltre la spalla destra, dietro di voi. Soffermatevi per 5 respiri, avendo cura di dare la stessa lunghezza ad inspirazione ed espirazione. Uscite dalla posizione espirando, e dopo un paio di respiri in posizione neutrale, ripetete dal lato opposto. Questa posizione è una versione modificata di Marichyasana C, la terza variante della postura dedicata al saggio Marichi, (letteralmente, Raggio di Luce), che secondo i testi yogici è uno dei sette veggenti o signori della creazione. Il simbolismo dello Yoga ci aiuta a capire il grado di importanza delle asanas, e quando queste sono dedicate a figure mitologiche così importanti, i loro benefici sono considerati di grande valenza psicofisica.
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Una pratica condivisa con amiche insegnanti a Milano |
Da molti anni ormai il mio stile di elezione è Jivamukti, la scuola fondata dagli americani Sharon Gannon e David Life, il cui centro frequento ogni volta che mi è possibile, a New York o a Londra.
Uno dei motivi principali che mi ha spinto ad avvicinarmi ai loro insegnamenti è stato il fatto che da sempre la pratica Jivamukti comprende l’uso dei canti e della musica durante le lezioni, cosa che io in modo naturale ho sempre fatto durante la mia pratica quotidiana. Certo il mio provenire dalla danza moderna ha avuto il suo peso nelle mie scelte. L’uso della musica nella pratica yogica in occidente è abbastanza inusuale, eppure in India la musica ed i canti sono parte integrante di questa disciplina. Certo non una musica a caso: personalmente la mia ricerca di suoni e composizioni musicali da utilizzare durante la pratica è molto attenta, e la ragione è che esistono studi scientifici di grande valore sugli effetti del suono sul nostro corpo e sulle nostre menti. Ritengo infatti che la musica possa accompagnare chi pratica verso uno stato di concentrazione molto profondo, e se scelta con cognizione di causa, può contribuire a far vibrare il nostro corpo sollecitando i nostri centri energetici, con una funzione terapeutica, o più semplicemente aiutarci a dare un ritmo alle asanas, una cadenza al respiro, soprattutto dopo una giornata in cui l’inquinamento acustico delle grandi città ci ha magari un po’ destabilizzato. Non è un caso, penso, se molte ricerche scientifiche asseriscono che all’origine del Big Bang che ha creato il nostro universo ci sia stata proprio una vibrazione, un suono, e che questo suono sia molto simile all’OM che recitiamo all’inizio e alla fine della nostra pratica. Ho avuto l’occasione, nelle scorse settimane, di effettuare due esperimenti che mi hanno convinto ancora di più sulla validità del connubio Yoga-musica. Sabato scorso, un workshop condotto da me insieme ad un musicista che ha seguito la pratica modulando le sue composizioni sui nostri movimenti, e ieri la partecipazione ad un seminario condotto da un’insegnante Jivamukti in visita dal Lussemburgo, Magali Lehners, che ha proposto un lungo rilassamento in Savasana accompagnato dal potente e magico suono del Gong. Due esperienze, una vissuta da insegnante, l’altra da studente, che mi hanno motivato a proseguire nella mia ricerca in questo senso. Per questo domani, lunedì 17 novembre, sia durante la mia lezione al Circolo Filologico di Milano (ore 13) che in quella serale al Melograno di Castellanza (ore 20:00), utilizzerò composizioni musicali tribali studiate e realizzate appositamente per risvegliare il quarto chakra, quello del cuore, Anahata Chakra. Se volete saperne di più, e sperimentare la magia dello Yoga in musica, vi aspetto per praticare insieme!
Cosa rende la pratica del Vinyasa Yoga una vera e propria meditazione in movimento? Secondo la tradizione dell’Ashtanga Yoga, da cui il Vinyasa deriva, le tre azioni (Tristhana) da svolgere contemporaneamente durante la pratica sono asana (posture), pranayama (respirazione) e drishti (sguardo). Queste tre azioni, chiamate appunto Tristhana, a me ricordano gli “attrezzi” del musicista: spartito, strumento musicale e note insieme sono la base per realizzare una composizione, proprio come lo yogi utilizza il respiro, le asanas e lo sguardo per immergersi nella sua pratica. Asana, pranayama e drishti rendono la pratica una vera e propria terapia in grado di purificare il nostro apparato muscolo-scheletrico, i nostri organi interni e la nostra mente quando vengono praticati simultaneamente. Per questo suggerisco sempre a chi pratica con me di non interrompere mai il flusso della inspirazione ed espirazione, e di evitare le apnee: piuttosto, è meglio rallentare la propria pratica ma assecondare il ritmo del proprio respiro. A chi si avvicina allo Yoga per la prima volta suggerisco sempre il più semplice degli esercizi: in piedi in Tadasana, inspirare sollevando le braccia verso l’alto e rivolgendo lo sguardo alle mani, ed espirare scendendo in Uttanasana, volgendo lo sguardo ai piedi. Questo facilissimo esercizio è la base per applicare il Tristhana, ed è talmente basico che ci da modo anche di integrare il pranayama con l’attivazione dei bandha. Del resto, per imparare a suonare bisogna cominciare con il più semplice dei solfeggi… Buona pratica e buon weekend!
Difficile dare un’unica definizione del termine sanscrito “bandha”. Eppure quante volte, durante una classe, ci siamo sentiti dire che solo attivando i bandha la nostra pratica potrà davvero migliorare! Come sempre nello Yoga, la pratica costituisce l’unica strada per afferrare davvero l’essenza di questa disciplina millenaria eppure sempre più attuale. Ma qualche semplice indicazione è possibile, e può aiutarci lungo il cammino. La traduzione letterale di “bandha” è legame – anche se a me piace molto usare la traduzione inglese, ovvero “lock”, serratura. I bandha non sono fasce muscolari ma piuttosto azioni che coinvolgono muscoli che solitamente non attiviamo a livello conscio. E il bandha che sicuramente tutti noi dovremmo attivare durante la nostra pratica è Mula Bandha, il Bandha della radice, posto alla base della colonna vertebrale: quello che a livello fisico ci aiuta maggiormente a trovare l’asse centrale del nostro corpo, e diventa quindi fondamentale in tutte le asanas che coinvolgono la ricerca dell’equilibrio. Esistono moltissime spiegazioni anatomiche per localizzare e attivare Mula Bandha, ma se ci concentriamo esclusivamente sulle sue connotazioni fisiche, rischiamo di attivare una ricerca frustrante e spesso vana dei muscoli che si estendono dal coccige all’osso pubico, fino a sostenere i nostri organi interni. Quindi quando pratico, io preferisco attenermi alle istruzioni molto semplici di un grande maestro di Ashtanga Yoga, Richard Freeman: “espirando molto lentamente e in profondità, notiamo che al termine dell’espirazione i muscoli del pavimento pelvico sono naturalmente allenati ad espellere fino all’ultima particella d’aria. In questo punto dobbiamo cercare Mula Bandha”. Concentrandoci al termine di ogni profonda espirazione, possiamo trovare questo Bandha e ricordarci della sua esistenza durante tutta la nostra pratica, senza forzature. Attivandolo delicatamente ma in modo continuo, ne esalteremo i benefici di stabilità, di protezione della zona lombosacrale durante flessioni anteriori, posteriori e torsioni del busto. Con il tempo, ci accorgeremo anche dei suoi vantaggi psichici: una sensazione di grande benessere, energia e di maggiore consapevolezza dei movimenti del nostro corpo.
Chiunque pratichi Yoga in Occidente, oggi, dovrebbe dedicare un’ora del suo tempo all’illuminante documentario di Bhanu Bhatnagar, realizzato per Al Jazeera e disponibile alla visione su YouTube,
Perché gli Occidentali sentono la necessità di “possedere” e “trasformare” lo Yoga? Perché ancora oggi parlare di una spiritualità che passa attraverso la consapevolezza del corpo è così scabroso? Perché in Occidente “spirituale” e “religioso” sono ancora così spesso confusi tra loro? Che differenza c’è tra la spietata commercializzazione dello Yoga e l’onesto lavoro di chi studia con serietà e insegna una pratica millenaria, con l’intenzione di offrire una strada verso la salute fisica e mentale? Perché gli occidentali trovano così difficile liberarsi del loro ego, del loro istinto competitivo per abbracciare invece con fiducia gli insegnamenti di questa disciplina, che in modo così evidente sono di enorme beneficio per tutti? Questo documentario forse non risponde a tutte queste domande ma sicuramente offre spunti di riflessione interessanti, e ci riporta con grande umiltà sul tappetino.
Prasarita Padottanasana
Una delle caratteristiche del Vinyasa Yoga sono le cosiddette “transizioni”, ovvero posture intermedie che collegano tra di loro le asanas più tradizionali. Le transizioni sono utili non solo per passare da un’asana all’altra in modo fluido, ma anche per riportare alla normalità i muscoli o i tendini che abbiamo iper-allungato. Quando pratico le diverse versioni di Prasarita Padottanasana, ad esempio, mi piace creare una contro-posizione per rilassare i legamenti e i tendini degli arti inferiori e per allungare il busto verso l’alto, rilassando la colonna vertebrale. Nella mia contro-posizione, i quadricipiti vengono sollecitati, e sollevare i talloni da terra aggiunge un test interessante all’equilibrio. Provate ad effettuarla spingendo il coccige verso il basso, senza inarcare la schiena né spingere le pelvi in avanti, con le braccia sollevate e lo sguardo diretto verso le mani giunte. Cercate di non sollevare le spalle verso le orecchie, e di avvicinare le scapole tra di loro. Se avete l’impressione di perdere l’equilibrio o non siete certi di riuscire a mantenere la schiena perfettamente eretta, appoggiatela alla parete. Uddiyana e Mula Bandha vi aiuteranno con il tempo a comprendere come l’equilibrio non dipenda solo dalla contrazione dei muscoli degli arti inferiori, ma di questo parleremo nei prossimi post. O meglio ancora, alla prossima pratica: domani alle 13 e alle 20:00 presso Il Melograno o, per gli amici milanesi, dal 10 novembre, il lunedì alle 13 presso il Circolo Filologico in via Clerici 10, grazie al progetto di PureYogaMilan
Esempio di transizione